Lavavetri

A volte, camminando o girando per la citta’, qualcosa o qualcuno ci regala un’emozione, bella o brutta che sia.

Un uomo grosso, sudicio, di età indefinibile, forse tra i 35 e i 50. Indossa pantaloni a righe grigie e marroni, talmente scoloriti che sembrano più vecchi di lui; sopra, lascia cadere una camicia a quadri sgualcita, con i primi bottoni aperti. Ha pochi capelli castano scuro, unti e arruffati, e occhi verdi liquidi. Due guance cadenti intorno a baffi arruffati.
Le mani gonfie e sporche penzolano lungo i fianchi. In una tiene uno straccio appeso.
Cammina piano, dondolando. Lo sguardo vago oscilla incurante a distanze brevi, tra l’asfalto della strada e i cofani delle macchine; solo quando la distanza con un auto diventa minima, alza gli occhi fino ai finestrini. Allora, allunga la mano con lo straccio, agitandola debolmente, e aspetta.
Aspetta un segno, un assenso, un sorriso. Finanche un diniego, placido o aggressivo che sia. Aspetta.
Di solito è un no. Basta un accenno, con lui. Lo si capisce subito.
Si allontana, lentamente, proseguendo a dondolare tra le macchine. Il semaforo diventa verde, le macchine scalpitano, hanno fretta. Imperturbabile, rimane li’, ad annusare l’aria tra i tubi di scappamento, a disegnare un’ombra, sul viso dei passanti.

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