A volte, nella vita, capitano situazioni in cui si è lì che si aspetta. Le giornate passano, si lavora, si legge, si intavolano conversazioni coi vicini, si fa la spesa, si porta fuori il cane. Insomma si vive la quotidianità solita o meno solita e si prova la gamma di emozioni varie che ognuno di noi è in grado di provare. C’è tuttavia una piccola parte di noi che aspetta. E’ in attesa.
E non parlo di quell’attesa per cui si aspetta qualcosa di grande, ma di non ben definito, tipo, che so, innamorarsi, svoltare il lavoro che abbiamo sempre voluto, vincere alla lotteria un viaggio intorno al mondo. No, non parlo di quell’attesa lì, ché pure può capitare di vivere. Ma no, non quella.
Parlo dell’attesa di qualcosa di preciso, l’attesa di una risposta che deve arrivare, di un risultato, di un verdetto. Si sa quando, si sa da chi, si sa il come e il dove. Per dire, nei legal-movie americani è l’attesa di quel momento in cui il rappresentante della giuria si alza e dice: riteniamo l’imputato.
Ecco, quell’attesa. L’attesa di una parola. Colpevole o Innocente. Promosso o Bocciato. Me ne vado o Resto. Positivo o Negativo.
Quell’attesa spesso converge tutta su una parola. E quando quella parola viene letta o ascoltata, proprio in quell’attimo preciso, non prima, non dopo, ci prende un qualcosa nello stomaco. Quella parola, quel solo attimo, è una pelle d’oca dentro, è un brivido repentino nello stomaco, un terremoto interiore concentrato in una frazione di secondo. In una parola, appunto. Quella parola dice molte altre parole, senza dirle.
Poi arrivano la gioia o il dolore, nelle infinite loro sfumature, a seconda della parola, e dell’attesa, e della situazione.
Quella parola oggi a me ha portato un bel senso di leggerezza, durato per qualche ora. Non mi ha cambiato la vita, ma mi ha scasinato lo stomaco per bene.
P.S. Effe ha concluso uno splendido post con un bell’esempio di come si potrebbe conteggiare lo scorrere della vita attraverso le parole. Mi chiedo, giocando un po’ con le parole: una parola come quella mia di oggi, che da sola ‘non ne dice’ molte altre già dette altrove, come andrebbe contata?