Pro-fessionisti

Ieri sono andata al mio primo colloquio di lavoro. Ebbene si, alla tenera età di 38 anni, ancora non avevo mai fatto un vero colloquio di lavoro. Uno di quelli in cui rispondi a un annuncio, mandi il curriculum, poi vieni chiamato per il primo colloquio, e poi, forse, se passi la selezione, per il secondo. Ebbene si, mai fatto. Finora, da freelance e da imprenditrice (solo perché ho aperto, e poi chiuso, una società, eh), avevo sempre creato progetti poi diventati lavori o trovato lavori, nel solo unico modo che ho sempre praticato: facendo networking. O, detto più semplicemente, anche se in modo meno trendy, ho sempre trovato lavoro tramite contatti, miei e dei miei amici.

Oltre a essere il mio primo colloquio, è stata inoltre un’interessante esperienza con una realtà che, per scelta, ho sempre vissuto solo da fuori, o sulla soglia: la grande azienda. E questo, ovviamente, è venuto fuori anche durante la chiacchierata che ho fatto con le due donne della grande società. Seduta a una scrivania di una stanza asettica ma dai colori vivaci e caldi, ho risposto a domande sul mio corso all’università, sui siti di cui ho progettato l’architettura delle informazioni, sul rapporto tra il mio lato creativo e la necessità di limitarlo affinché non prevarichi le esigenze degli utenti (mi è venuto in mente un seminario che tenne anni fa un mio amico, esperto di accessibilità: creatività vs accessibilità… discussione affine e ancora attualissima che meriterebbe un post a sé).

Una delle due donne, elaborando la mia storia professionale e il mio modo di vivere il lavoro, mi ha detto: “ci sono persone più ‘pro azienda’ e persone più ‘pro consulenza’. Lei cos’è?”.
Io sono pro utente, pro qualità, pro energie impiegate bene. L’utente, e non il cliente, anche se con il cliente poi bisogna mediare (mediare tra le sue esigenze, i bisogni degli utenti finali e magari un po’ di innovazione…).
E non mi sposo facilmente. Per cui la ‘mission’ aziendale la posso sposare solo se è da me condivisibile, e non a priori. Chè poi sono i matrimoni che funzionano meglio, quelli in cui ci si fida, si progetta, si costruisce insieme.

E no, non mi piace venire in sede tutti i giorni, se non serve ma anzi rallenta il mio lavoro (c’è stata un’interessante discussione sulla delocalizzazione a partire da un post di biccio). Riconosco, anzi, privilegio il lavoro di gruppo, per cui andare in sede significa collaborare con gli altri, anche se a volte ho bisogno di stare da sola a ragionare e inventare. Per il resto, spesso è tempo perso, tra spostamenti, chiacchiere, distrazioni…

Sono pro consulenza? Forse, finché le aziende non proveranno ad aprirsi a modalità di fiducia, rispetto e qualità del lavoro. In parte già lo stanno facendo, forse, ma la strada è ancora lunga.
Queste le mie riflessioni pre, durante e post il mio primo colloquio di lavoro.
Ora mi chiedo se questi miei pensieri, emersi chiaramente durante il colloquio, peseranno in qualche modo. O forse lo farà questo post, se qualcuno della grande azienda finisse per leggerlo.
Non è detto poi che debba per forza influire negativamente, no? Un po’ di fiducia, sono al primo colloquio con una grande azienda, e le premesse non sembravano malvagie…

In ogni caso, la verità è che io sono disposta a cambiare vita, ma penso che forse non riuscirei a cambiare alcune cose in cui credo 😉

foto valentina cinelli

Non tacere, o vai di conversazioni dal basso

Quasi due anni fa il mio amico Fabio mi raccontava di aver conosciuto un uomo straordinario. E dato che lui, il mio amico Fabio, proprio non riesce a trattenersi dal fare un documentario su ciò che davvero gli sta a cuore, nonostante la sua professione sia tutta un’altra, ovviamente ci ha fatto un documentario. Questo:

“Non Tacere” Don Roberto Sardelli e la scuola 725 – regia di Fabio Grimaldi, produzione Blue FIlm.

non tacereUn documentario su Don Roberto Sardelli e sulla scuola 725. Attenzione, però, non è solo un documentario storico, non racconta solo come Don Roberto creò la scuola 725 nel ’68 tra i baraccati dell’Acquedotto Felice e di come questa scuole divenne un laboratorio sperimentale di vita, di cultura e di lotta per la dignità e i diritti. Racconta anche il Don Roberto di oggi, le sue continue battaglie, l’incontro con gli ex allievi della scuola e la lettera al sindaco contro i mali di Roma e del mondo.

Se volete saperne di più, non vi resta che vedere il documentario, presentato sabato 13 ottobre alle ore 17.00/20.30 presso la casa del Cinema – L.go Mastroianni 1 (Villa Borghese).

Se invece sabato 13 e domenica 14 avete altro da fare, o andate a seguire il Festival dei Blog in quel di Urbino, partecipando al Blog Award e alla “Treasure Hunt Wireless Game“, allora date un’occhiata al sito www.nontacere.org, non è la stessa cosa che vedere il documentario, ma dice tanto ugualmente ed è ricco di documenti interessanti. Magari poi viene voglia anche a voi, di non tacere!

Il materiale e l’immaginario

Non era il mio libro di testo a scuola, ma mia madre, che all’epoca non era ancora una ‘dirigente scolastica’ ma un’insegnate, lo utilizzava nelle sue classi, quindi in casa c’erano tutti e 10 i volumi dell’edizione grigia: Il materiale e l’immaginario, di Cesarani-De Federicis, Torino 1985, Loescher.

Curiosa com’ero di libri, ho cominciato a sfogliarlo già alle scuole medie, fino a farlo diventare il testo su cui ho preparato gli esami di maturità, in aggiunta a quello ‘adottato’ ufficialmente dalla mia prof. Ho sempre amato quel libro, che, a partire dai testi, metteva insieme la letteratura con l’economia, con la storia, con l’arte, con la filosofia e con tutte le scienze, dando un senso, per me a quei tempi nuovo e assai ricco, all’ossimoro del suo titolo.

BuranOra queste due parole, materiale e immaginario, troneggiano significativamente in un altro insieme di testi: Buràn, piccola rivista letteraria digitale, che, con grande opera di ricerca e traduzione, regala meraviglie da mondi lontani e spesso non visibili.
Per ascoltare voci che mordono la realtà e disegnano atmosfere.

Settembre 2007 racconta Il Conflitto, ma per chi non la conosceva, vale la pena ascoltare anche le altri voci, Il Lavoro e La Città.

Le forme del sapere nella rete

Si procede piano piano, ma si procede. Per ora noi abbiamo cominciato con l’organizzare questo incontro.
‘Noi’ saremmo gli ex studenti di Giuseppe Gigliozzi, e/o ‘collaboratori’ del CRILet, e/o gruppo di amic*. E gran parte di quello che stiamo cercando di fare, lo facciamo anche per proseguire ciò che aveva iniziato lui, e lo facciamo cercando di portarci dentro il suo ‘sorriso azzurro’ e la sua ironia. Altrimenti non riusciremmo a danzare tra proroghe e fazioni varie, saltando e spingendo come muli cocciuti per ottenere che qualcosa si smuova.

Quindi, grazie Giuseppe. In primis.

Poi. Questo incontro è una prima tappa del nostro percorso. La seconda sarà per questo inverno, e ne parlerò in seguito. Per ora, ecco il comunicato dell’incontro.

Il giorno 25 giugno 2007 alle ore 16.30 presso lÂ?aula VI della Facoltà di Scienze Umanistiche, Sapienza, Università di Roma, si svolgerà il seminario “Le forme del sapere nella rete“.

L�incontro, organizzato in rapporto alle attività del CRILet (Centro Ricerche Informatica e Letteratura), sezione del Dipartimento di Studi Filologici, Linguistici e Letterari, si pone l�obiettivo di aprire un dibattito rivolto a docenti, studenti, personale amministrativo delle facoltà umanistiche e a chiunque sia interessato alle attuali caratteristiche formali dei contenuti del web.
LÂ?incontro intende presentare due volumi appena pubblicati che analizzano lÂ?argomento e lÂ?iniziativa dell’enciclopedia libera Wikipedia.

Il primo libro di Ippolita, Luci e Ombre di Google – Futuro e Passato dell’Industria dei Metadati (Feltrinelli, 2007), racconta cosa si nasconde dietro il motore di ricerca più consultato al mondo; Ippolita è il nome collettivo che ha firmato anche il libro Open non è Free (Eleuthera, 2005) ed è un server indipendente per iniziative editoriali.

Il secondo libro di Ian H. Witten, Marco Gori, Teresa Numerico, Web Dragons: Inside the Myths of Search Engine Technology (Paperback, 2006), spiega come è possibile trovare in rete le informazioni di cui abbiamo bisogno attraverso i Â?draghiÂ? che custodiscono la biblioteca virtuale del Web. Gli autori sono Ian Witten, docente di Computer Science presso l’Università di Waikato; Marco Gori, docente di Intelligenza artificiale presso l’Università di Siena; Teresa Numerico, ricercatrice in Filosofia della Scienza presso l’Università di Salerno.

LÂ?enciclopedia collettiva Wikipedia si occupa di catalogare il sapere mondiale grazie a una serie di corrispondenti liberi sparsi in ogni nazione.

Interverranno alla presentazione:

  • Andrea Marchesini, coautore di Luci e ombre di Google
  • Teresa Numerico, coautrice di Web Dragons: Inside the Myths of Search Engine Technology
  • Frieda Brioschi, presidente del Comitato Direttivo dellÂ?associazione Wikimedia Italia, promotrice, per lÂ?Italia, del progetto dellÂ?enciclopedia libera Wikipedia

L�incontro rappresenta un�occasione di riflessione sulle iniziative editoriali innovative nate nel web e sulla mutazione delle forme del sapere che ne è derivata. Alla presentazione seguirà una tavola rotonda sul tema.

Saranno presenti:

  • Isabella Chiari, docente di Linguistica computazionale, Sapienza, Università di Roma
  • Fabio Ciotti, docente di Informatica applicata alle scienze umane, Università di Torvergata
  • Stefano Epifani, docente di Organizzazione e gestione della comunicazione interattiva, Sapienza, Università di Roma
  • Domenico Fiormonte, docente di Linguistica generale, Università Roma Tre
  • Myriam Trevisan, docente di Informatica Umanistica, Sapienza, Università di Roma

aNobii

Spesso, quando si legge, si prova quello che Roland Barthes chiama “erotismo della lettura” (Il brusio della lingua, Einaudi, 1988) .
Barthes dà tre definizioni che evidenziano tre diversi aspetti dell’erotismo della lettura:

  • metaforico-poetico, in cui è la disposizione stessa delle parole, il modo in cui si muovono e creano disegni, che produce piacere in chi legge, in una sorta di “erotismo della parola”
  • metonimico, in cui il lettore viene catturato dal desiderio di scoprire cosa accade dopo, dalla suspence, dalla sorpresa, “dal disvelamento di ciò che è nascosto”
  • il desiderio di scrittura, in cui il lettore coglie leggendo quello stesso desiderio che ha provato l’autore nello scrivere, “l’amatemi implicito in ogni scrittura”

Ora, tutta questa noiosa filippica che spesso propino ai miei studenti per introdurre il discorso su lettura e scrittura digitale, a cosa serve?
A niente, se non a parlare di aNobii, social network che stimola l’appetito del lettore, disintossica dai rumori del marketing editoriale, risveglia la recensione libera e condivisa, incrementa gli approfondimenti amicali (e se volete saperne di più prima di cascarci anche voi, basta leggere l’articolo di Pietro Izzo su Apogeonline).

Io già ci sono cascata, e ci sto facendo cascare anche altri amici erotici della lettura 😉

Post-LitCamp n. 2 – Tra tomi e bit

Spesso d’estate me ne vado una decina di giorni alla casa che abbiamo in Puglia. Lì ho vari amici che vedo solo di tanto in tanto. Tra questi c’è Francesco, l’avvocato. Con lui, oltre alle nottate estive di feste e giri in macchina per i paesini pugliesi, ho condiviso negli anni le ore più calde sugli scogli, lui munito di libro e crema abbronzante [ha la carnagione scura e non si scotta mai], io di libro e crema protettiva [sono capace di scottarmi pure dopo un mese che sto al mare].

Magari ora uno si chiede che c’entra con il LitCamp. Eh, c’entra, ché si parla di tomi e bit anche in spiaggia 🙂

Quando l’estate scorsa ho incontrato Francesco, mi ha detto subito: ah, finalmente si parla di libri! E infatti abbiamo cominciato a raccontarci le ultime letture fatte. Sembrava tutto come ai vecchi tempi, ma dopo poco ho capito che ogni libro di cui mi parlava, era un libro che lui si era scaricato da Internet, e che aveva letto su un e-book. E abbiamo abbandonato i contenuti per passare ai supporti. Mi ha citato una marea di posti in rete che non conoscevo, e sì che ne conosco tanti, dove reperire libri digitalizzati, anche pubblicati da poco. Anzi, chiedeva a me come potevano aver risolto il problema dei diritti. Ma come, non eri tu l’avvocato? Il resto del tempo è volato a confrontare le due modalità di lettura, di conservazione e di interazione con l’oggetto libro, cartaceo ed elettronico.

Sono uscite più o meno le medesime considerazioni di cui ha parlato DELyMyth nella sua efficace e chiara presentazione al LitCamp, e di cui parla l’amico Fabio Ciotti in un libro un po’ datato, ma ancora interessante, nel capitolo sul mondo degli e-book.

In effetti da tutti i punti di vista i libri elettronici sono migliori: consumano meno l’ambiente [non si devastano foreste per la carta], invadono meno i nostri spazi [molto più posto in casa e più abitazioni o luoghi di ritrovo in città], inficiano meno il nostro fisico [i libri pesano, quando parti per la vacanza all’estero, o quando a scuola ogni insegnante pretende che porti il libro di testo della sua materia], costano meno [eh si, a parte il cospicuo investimento iniziale di uno qualsiasi dei lettori digitali, che sia un e-book o l’ultimo nato Iliad], sono, ma solo per la manualistica tecnica, meno inquinanti quando ormai dicono cose inutili. Per non parlare del fatto che fanno risparmiare una marea di tempo a chi, come me, informatica umanistica, si ritrova di tanto in tanto a perdere ore in scansioni e ocr vari per poter ottenere dei testi digitali da codificare e analizzare.

Ci ho pensato assai, dopo il LitCamp, così come ci penso ogni volta che ritorna l’argomento in qualche discussione tra umanisti o tra amici bibliofili. E ogni volta concludo che no, mai!. I libri elettronici non potranno mai sostituirsi ai libri cartacei. E’ una questione di tatto, nel senso di toccare la carta, di olfatto, nel senso di sentirne l’odore, di udito, nel senso del rumore familiare delle pagine voltate. Non credo il libro sia un feticcio, credo solo sia un oggetto che fa parte della nostra intimità, con cui si instaura un rapporto caldo, e non riesco a immaginare una cosa del genere con un file. Ogni volta dunque che affronto l’argomento dei libri elettronici penso questo. Penso ai sensi, alle emozioni, all’intimità del libro.

All’inizio. Poi però rifletto, e ricordo quando disegnavo con tanta cura le fodere delle cassette audio che mi registravo, o collezionavo vinili, o riempivo le mura di casa di videocassete. Ho ancora tutto. Comprese due mura di casa piene di videocassette. Ma alla fine se devo ascoltare musica uso l’ipod o il computer, e in auto vado di mp3 o di cd, e se devo vedere un film idem, c’è la rete e gli hard disk esterni, per ora, poi chissà che altra diavoleria uscirà fuori. E le videocassette le guardo solo per quei film talmente vecchi o particolari che non si trovano da nessuna parte.

E allora credo che i libri elettronici potranno davvero sostituire, un giorno, i libri cartacei. Non so quanto ci vorrà, lascio queste considerazioni a sociologi, commercianti, imprenditori, futurologi.

Su di me, non so dire. Per ora sono fermamente convinta che non abbandonerò mai i libri cartacei. Mi piace troppo spiegazzarli e ciancicarli e poi ritrovarli ‘vissuti’. Ma i tempi cambiano, e anche le persone…

Post-LitCamp n. 1

Avrei voluto scriverlo prima, questo post sul LitCamp. Ma.
Lunedì mentre tornavo da Torino e cercavo di recuperare il sonno perso in giri notturni ai Murazzi e chiacchiere nottambule in appartamenti vari, ricevo dal lavoro un terrificante annuncio di emergenza immediata e una convocazione di riunione per la mattina dopo alle 9.00.
Senza nemmeno il tempo di rielaborare pensieri, facce, e accadimenti torinesi, mi tocca disdire una miriade di appuntamenti presi, rimandare alla settimana successiva tutti gli altri lavori, rispondere alle telefonate di improperi [che prontamente rigiro al ‘capo’], inventare scuse valide per i lavori che svolgo per conto mio. E ovviamente affrontare l’emergenza, che consiste nel trovare idee 2.0 per una rivista online. Priorità assoluta.

Per cui niente tempo, ma soprattutto niente testa per fare altro, se non lanciare qualche twitt ogni tanto. Santo twitter, piccola finestra nel mondo della rete!

Sabato mi riposo, al massimo leggo un po’ dei feed arretrati. Domenica mi ritrovo un buco nello stomaco, ma già so cos’è, ci sono abituata. Mi piazzo a letto con il computer e un necessario bicchiere di latte fresco, sbrigo il lavoro che ho dovuto rimandare e finalmente scrivo il post sul LitCamp. Anzi, i post.

Già, perchè questo è il primo. Quello in cui lodo la perfetta organizzazione di arsenio bravuomo ed effe, e insieme a loro ringrazio chiunque abbia contribuito a: l’ospitalità nello splendido palazzo del Circolo dei Lettori, le sale attrezzate con strumentazione varia, le sedie comode [addirittura due monodondoli in bambu], il ricco buffet offerto da San Lorenzo, la diretta radio da radio catrame19, la diretta video con il mitico Robin Good, accoccolato in svariate posizioni accanta al balcone fumatori, salvo qualche scorribanda nelle sale di tanto in tanto, al solito suo. E, ovviamente, la piacevolissima cena Litnait.

Questo è anche il post in cui saluto le persone che ho conosciuto, poche, perché con l’età sono diventata un po’ timida, salvo che sul lavoro…
Innanzitutto DELyMyth, super girl tecnologica con un’energia che farebbe invidia a un’eroina manga; eiochemipensavo, cui mi sono presentata alla faccia della timidezza dicendo: ehi, ogni tuo post mi regala un sorriso [azz, che frase orribile, per fortuna eio soprassiede con eleganza e mi racconta meglio dei fincipit]; quel saltapicchio parlante di Strelnik, con il suo Pinokkiaccio sempre appresso, e mille idee meravigliose per la testa, che spero porti avanti; arsenio bravuomo, che dopo essersi ottimamente tenuto dallo spoilerarmi su Lost [sono rimasta per scelta e per ora alla seconda stagione] insieme a Axell e altri lancia il LostCamp, e come non partecipare, addicted come sono alle serie televisive? E parlo con altre persone con cui mi scuso, ‘che non ricordo il nome né il blog o altro. Avrei anche voluto conoscere Nastenka, visto che ci aveva scritto quando mettemmo online soultube, e che ha un bellissimo blog sui treni, avevo letto che sarebbe stata presente, ma non ho saputo trovarla, se c’era…

Invece riconosco Etere e Mescaline, e Mafe, e elena, e sonetti, e tanti altri, che leggo sempre, ma datosi che come già detto sono diventata timidina, non vado nemmeno a presentarmi, ‘che già la mia bella fatica l’avevo fatta con eio. Vabbè, mi dispiace, sarà per la prossima volta, tanto ormai la strada dei barcamp la conosco, anche se non reggo il ritmo di uno a settimana…

Questo infine è il post in cui ringrazio Tiziana per tutto, e dico tutto, e lei sa cosa intendo; Claudia e Damiano per l’ospitalità di una notte e un giorno di compagnia piacevolissima, e che spero di rincontrare appena saranno a Roma, visto che si muovono verso sud; Luca per l’ospitalità di due notti, per averci portato in giro a vedere Torino a ore inopportune, per le chiacchiere e le gattonate per la stanza, per esserci sempre, lui e le troike dei boiari che scampanellano lungo la prospettiva Nevskij.
E ora lascio la parola ai post tematici, perchè mi piace continuare a riflettere su alcune cose che di cui si è parlato al LitCamp, e perchè credo che a questo servano, i barcamp: a confrontarsi, conoscersi, raccogliere la farina dal tavolo per farci il pane, ma anche a dare stimoli di riflessioni collettive. Gli altri post sul LitCamp arriveranno presto, il tempo di coordinare le idee.

LitCamp alle porte

Mancano due giorni al LitCamp, che si svolgerà a Torino il 12 maggio. Adesso non mi ci provo neanche a spiegare cos’è, vista la fatica che ho fatto per farlo capire ad alcuni amici e anche ai miei genitori, che comunque alla fine sono svegli e hanno capito. Per chi non lo sa, sappia solo che è una giornata di chiacchiere aperte e partecipate e di incontri e confronti, e se vuole approfondire trova delle belle spiegazioni su barcamp.org.
Nel caso del LitCamp, il barcamp è a tema, e il tema è la letteratura in rete, nel senso di scrittura, lettura, editoria, giornalismo.

E dunque, per una come me che da anni c’ha la fissa della scrittura creativa e collaborativa in rete, e che tartassa i suoi studenti facendogli inventare ipertesti narrativi, e che, oltretutto, ci si è pure laureata, in una cosa che si chiama ‘informatica umanistica’… era impensabile non andare al LitCamp.

Per non parlare [e infatti non so se ne parlerò, ‘che sono pure timida…] della nostra ‘metropolitana che scrive’, www.soultube.org, progetto cross media immaginato e sviluppato insieme ad altri tre amici e messo sul web in quattro lingue, e di cui esiste pure, su carta, per ora, un format televisivo e un gioco ‘letterario’ per telefonia mobile.

Per cui, ovvio, domani parto per Torino, con la fida amica di Feramenta, anche lei con i miei stessi interessi e la mia stessa strana laurea, e vado a partecipare [si, perchè timida sono timida, ma ascolto e parlo pure una cifra…] a discussioni che già dal post al posto dei post-it mi sembrano interessantissime. Le trovate sul blog del LitCamp.

E visto che ci sto, venerdì faccio un salto alla Fiera del Libro, e saluto qualche amico torinese che non vedo dai tempi dell’Argentina. E magari al LitCamp riesco pure a conoscere di persona qualcheduno di quelli che scrivono i blog che leggo.

Filosofia del gioco, o gioco della filosofia?

Non amo i giochi al computer. Mi annoiano. Tranne alcuni con cui mi capita di infognarmi. Di solito sono giochi che permettono di fare senza pensare troppo. Una sorta di ginnastica mentale: distraggono il mio petulante autocontrollo, portandolo a concentrarsi sul gioco, e finalmente i miei pensieri possono fare una buona volta come gli pare e piace. Una manna, meglio della meditazione, o di altre menate simili.

Il fatto è che sono tutti giochi in cui si devono rompere delle palle. Per la gioia dei miei amici e collaboratori, che quando lo hanno scoperto si sono letteralmente sganasciati dalle risate. E certo, di professione faccio la scassa palle, e quindi perché non dovrebbe far ridere questa mia predilezione per giochi stupidini il cui solo scopo è rompere le palle?

boomshine
boomshine

Adesso, grazie a una segnalazione di Tambu [che propone di utilizzare lo stesso sistema per “rapprensetare la propagazione dei meme allÂ?interno della blogosfera”] e di Giovy, ne ho trovato un altro, Boomshine. Tralascio i dettagli, ‘che tanto sempre di rompere palle si tratta.

Solo che stavolta il gioco mi ha fregato. Non mi lascia navigare i pensieri. Me li concentra su alcuni aspetti filosofici della vita su cui avevo saggiamente deciso di non riflettere più superata la fase dell’adolescenza con le sue domande esistenziali.
Vedere che una propria, semplicissima e spesso casuale azione si porta dietro una serie di conseguenze che si espandono fino a ottenere addirittura dei risultati, è da un lato piacevole, dall’altro preoccupante.
Per non parlare del fatto che ci si incantata a vedere queste palle dai colori una volta tanto tenui, farsi grandi e poi tornare piccole fino a sparire. Morbidamente. E più che la melodia di sottofondo, comunque non malvagia, fanno un tuttuno con questa magia i suoni che emettono le palle contagiandosi una con l’altra.

Si, bello, non c’è che dire! Rilassante. Cosa che non fa mai male. Ed era pure ora che un gioco digitale facesse rilassare, invece di star lì a spingere su guadagnare punti, terminare quadri, ammazzare i nemici, arrivare primi al traguardo. La chicca del punteggio ce l’hanno messa, a dare uno scopo, una meta, una direzione, ‘che si fa più fatica ad andare alla deriva. Ma importa poco chi o come fa il record o finisce il quadro. L’esperienza è di per sé migliore del risultato.

Solo che ora sto lì a pensare a come un battito d’ali d’una farfalla in Italia può scatenare una tempesta in Cina. Oppure a come il tempo passa lasciando sempre una traccia. O ancora ai sei gradi di separazione tra me e il resto del mondo. Banalità di questo tipo.
E inoltre non riesco più a lasciar andare i pensieri, che invece mi aumentano a frotte, manco tutte quelle palle che si muovono come formiche rotolassero fino alla mia capa e lì continuassero il loro balletto. Avevo già il grillo parlante in testa, ora ci si mettono pure le formiche ballerine!