Camminando al Parco degli Acquedotti

Ieri sono ho fatto una bella camminata al Parco di San Policarpo, che in effetti si chiama Parco degli Acquedotti.

Acquedotti, al plurale, perché lì, in quel Parco, ce ne sono addirittura sette (alcuni sovrapposti ad altri): sei degli undici che componevano il sistema idrico di Roma nell’antichità (Anio Vetus (sotterraneo), Marcia, Tepula, Iulia, Claudio e Anio Novus (sovrapposti), più il rinascimentale Acquedotto Felice (sovrapposto allo Julia), voluto dal papato e tutt’ora in funzione per l’irrigazione dei campi. 


Le acque provenivano tutte dai Colli Albani o dalla Valle dell’Aniene.
All’interno del Parco, oggi, è rimasto un corso d’acqua in parte artificiale, voluto nel XII sec. da Papa Callisto II e che ricalca il Rio dell’Acqua Mariana (da ‘marrana’, o, alla romana: ‘marana’, termine che indica i piccoli corsi d’acqua in città), e il cui corso oggi è stato deviato nel Fosse del Calicetto e sfocia nell’Almone.
Il Fosso dell’Acqua Mariana, così si chiama, dà vita a un piccolo laghetto e addirittura a una piccola cascata.

Il parco è stato salvato dal degrado urbano e sopratutto dalla speculazione edilizia nel 1986 dal Comitato per la salvaguardia dell’Acquedotto Felice e di Roma Vecchia, un comitato di quartiere, grazie a cui il Parco degli Acquedotti è stato inserito nel  Parco Regionale dell’Appia Antica.

All’interno del Parco, oltre ai resti degli acquedotti (spettacolare la fila di archi dell’Acquedotto Felice) e alle rovine di ville romane (la Villa dei Sette Bassi, la Villa delle Vignacce, due antiche Cisterne e parti della pavimentazioni in basoli dell’antica Via Latina che terminava a Benevento, usata addirittura dagli Etruschi), c’è anche un suggestivo casale medievale, il Casale Roma Vecchia.
Il Casale, del XIII sec. circa, fu così chiamato per la vicinanza con le rovine antiche della villa dei Sette Bassi e di altri monumenti romani e fungeva da torre di controllo degli acquedotti Claudio e Marcio. Trasformato poi in casale agricolo, e diventato parte delle proprietà dei ricchi Torlonia, si presenta come un casale-torre di stile saraceno in blocchi di peperino. Nelle mura erano incastonati e oggi sono in parte ancora visibili reperti in marmo.

Oltre a ispirare molti scrittori e poeti, tra cui Goethe (“L’acqua arrivava nell’antica Roma con una successione di archi di trionfo”, scrive in “Viaggio in Italia”) e Belli (“Dove te vorti una campaggna rasa, come sce sii passata la pianozza, senza manco l’impronta d’una casa!, L’unica cosa sola c’ho ttrovato, in tutt’er viaggio, è stata una bbarrozza, cor barrozzaro ggiù mmorto ammazzato.”, da “Er deserto”), il Parco è stato set di tanti film che hanno fatto la storia del cinema italiano.
A cominciare dai primi secondi de “La dolce vita” di Fellini, fino a quel capolavoro che è “Mamma Roma” di Pasolini, in cui l’inizio del Parco dalla parte del Quadraro fa da sfondo all’immensa Anna Magnani, fino ancora a “Il Marchese del Grillo” di Monicelli, in cui i resti dell’Acquedotto Felice si intravedono mentre il Marchese in carrozza ci illumina con la sua saggia e cinica concretezza.

Oggi il Parco è frequentato da ciclisti (c’è una pista ciclabile), runners, camminatori, famiglie a passeggio, turisti, giovani e abitanti del quartiere. Ci sono molte iniziative: concerti, eventi sportivi e scientifici, visite guidate storiche e artisitiche e più romantiche osservazioni dello splendido tramonto che la vista sulla ‘successioni di archi’ dell’Acquedotto Felice regala.

Sbarbatelli di città antiche

L’altra sera siamo usciti a portare fuori Lilli per il consueto giro serale. Se non ci fosse Lilli, a volte staremmo davanti al computer più di dieci ore di fila. Vabbe’, anche i vicini fanno del loro per aiutarci a non stare troppo seduti, eh!

L’altra sera, dunque, siamo lì che passeggiamo in silenzio, Lilli annusa qua e la’, ogni tanto si piega sulle zampe dietro e tira fuori quella smorfia buffa di quando fa la pipì. E tu vai a capire se sorride di piacere si irrita perché noi la osserviamo, o semplicemente fa una smorfia per la posizione scomoda.

Io, invece, forse perché affamata, sono tutta assorta da una piacevole attività quasi canina: col naso per aria, annuso i profumi che arrivano dal ristorante vicino, non curandomi né di dove cammino, né di cosa ho intorno. E sbaglio. Per un pelo non mi perdevo qualcosa di incredibile!

A risvegliarmi dai miei annusamenti goderecci, per fortuna, sono le parole di uno sbarbatello (leggi: ragazzino di circa quattordici anni), che mi domanda tra il timido e lo spavaldo (quell’ossimoro emotivo di cui sono capaci solo i ragazzini): posso accarezzare il cane, o mi morde?

Da lì finalmente mi accorgo che non è uno, ma sono invece una ventina di sbarbatelli, tutti radunati intorno a una pachina sul marciapiede. Non faccio nemmeno in tempo a cominciare il mio solito spionaggio urbano, chè gli sbarbatelli partono di corsa in tutte le direzioni. Chi corre a sinistra, chi a destra, lungo il marciapiede tra le auto parcheggiate, o nello spiazzo che si apre poco distante.

Solo dopo vedo due sbarbatelli fermi immobili, con la testa appoggiata al muro. Questo mi fa pensare… ci metto qualche secondo a capire, il tempo che la conta è finita, e i due del muro si mettono in cerca, tutti presi dalla loro missione.

Pochi secondi di silenzio, e vedo sbarbatelli saltar fuori come funghi tra le macchine in sosta, dalle rientranze dei portoni, dietro i bidoni della spazzatura:

corrono, urlano, ridono, si incitano a vicenda.

Beh, mi è presa una voglia, ma una voglia pazzesca di giocare con loro. Mi sarei nascosta dietro quella macchina rossa, che aveva pure un motorino a riparare la visuale dall’altro lato. Avrei aspettato che l’accecato passasse oltre, e poi come un fulmine: tana libera tutti!!! Tra le risate generali ché magari ero la prima e non liberavo nessuno 😀

Non l’ho fatto, non sarebbe stato divertente, per loro (per me si, eh!). Mi piacerebbe però che si tornasse un po’ a giocare insieme per le strade a questi giochi per cui non serve nulla, nessun supporto, nessun oggetto di alcun tipo, soprattutto nessuna forma di energia se non quella del proprio corpo… Allora si, che sarebbe un ‘tana libera tutti’…

p.s.: non ce l’ho con la tecnologia, eh. Non sono forse una donna tecnologica, io? Sono andata pure alla GGD! Penso solo che ogni tanto, un po’ di sano divertimento collettivo semplice e ‘antico’, gioverebbe molto a tutti 😉

foto valentina cinelli

In un giorno di pioggia

Da piccola facevo un gioco, uno di quei giochi di bimbi che vogliono provare a fare i grandi: se mi trovavo in una situazione poco piacevole, mi mettevo lì tutta convinta a cercarne gli aspetti positivi. Qualcuno ne usciva sempre, magari con una leggera forzatura, o con un piccolo ‘imbroglio’ dei tempi e dei modi.
Un gioco un po’ melenso, un po’ buonista, un po’ retorico. Forse. Però spesso funzionava… la situazione spiacevole restava, ma io la ‘reggevo’ meglio, o così mi sembrava.

Ho continuato a giocarlo, questo gioco, ma devo ammettere che ora mi risulta più difficile… in ogni caso, ci ho provato anche in questi giorni, in cui mi sono presa tanta acqua sotto una pioggia di maggio non voluta.
E ho tirato giù un elenco. Un elenco dei motivi per cui si può amare la pioggia, anche a maggio (ovviamente oltre ai più concreti motivi di utilità varia, coltivazioni, salute, vita. E, ovviamente, senza dimenticare i disagi e i disastri reali che a volte la pioggia continua porta con sé).

Allora, la pioggia è bella perché quando piove si può:

  • stare in casa al coperto guardando l’acqua cadere fuori
  • giocare a ‘chi c’è sotto l’asciugamano’ con lillicane bagnata
  • camminare a bocca aperta giocando ad acchiappare le gocce con la lingua (a volte si può anche bere, ma in città sconsiglierei…)
  • saltare nelle pozzanghere e vedere chi schizza di più
  • provare a indovinare assaggiandola se quella che scivola in bocca è una goccia di pioggia o una lacrima (le lacrime sono salate, eh!)
  • annusare l’aria per strada sentendo finalmente un odore diverso dalla puzza di smog (l’odore dell’asfalto bagnato è più buono…)
  • ballare in macchina al ritmo dei tergicristalli in azione

Vabbe’, il gioco l’ho fatto, mi è pure riuscito benino: ieri nei miei giri per Roma, bagnata fino alle mutande nonostante la mantellina impermeabilie, mi sono anche divertita. Ora però, aridatece il sole! Che’ alla fine, sono pure metereopatica, e il sole, c’è poco da fare, è più gioioso.

Ah, se vi vengono in mente altri motivi per gradire una giornata di pioggia, ditemeli che li aggiungo!

E per creare un po’ d’atmosfera, scelgo questo video dei Modena City Ramblers, le cui uniche canzoni che ascolto sono le tre interpretate dalla bella voce calda di Alberto Morselli.

Imparando il tango

Il tango, si sa, è un ballo passionale che prevede una certa intimità tra i corpi, ma soprattutto prevede che la donna si faccia condurre dall’uomo in tutto e per (quasi) tutto, e dunque che l’uomo si assuma la responsabilità di ogni passo.

Da questo punto di vista il tango diventa, per me e per molte persone di mia conoscenza, una vera e propria scuola di vita: se sei donna, devi imparare a fidarti dell’uomo (ahi ahi, e ce ne vuole!!!); se sei uomo, devi imparare ad assumerti tante responsabilità, ma tante davvero (e non vi viene facile, o uomini, non negatelo…).

Io ho cominciato qualche giorno fa, su una strada poco trafficata di Garbatella, quando, nell’indecisione se girare a destra o a sinistra, il mio amico, abile tanguero, mi ha detto: vieni, ti insegno il passo base del tango.
Ed è così che, tra una pausa e l’altra dovuta al passaggio di qualche incurante automobile, ho ballato (uhm, non sono sicura si possa davvero dire così!) il mio primo tango.

Un po’ irrigidita, leggermente confusa e visibilimente affaticata, è stato subito evidente che la mia difficoltà era affidarmi e lasciarmi guidare da lui. Con assoluta pazienza e non poco ingegno, qualità degne solo di un buon maestro, il mio amico ha tirato fuori dal cilindro un esercizio che sembrava fatto su misura per il mio tipo di problema:

mi ha bendato gli occhi, mi ha preso per mano e ha cominciato a camminare. In questo modo mi ha guidato tra marciapiedi affollati, schivando avventori nervosi per l’ultima corsa agli acquisti natalizi; mi ha guidato su impervie strisce pedonali, sfidando il passaggio di automobili stremate da ore di traffico cittadino; mi ha guidato tra gradini, buche di varie entità e cacche di cani dai padroni incivili.
Se Roma sotto Natale si trasforma in una vera e propria città infernale, allora il mio amico si è trasformato in un vero e proprio Virgilio (con ciò non voglio assolutamente sottointendere che io sia Dante, eh!)

Da piccola, con la curiosità che spinge i bambini a conoscere per capire, avevo provato a bendarmi, per scoprire come funzionava quella cosa lì di non vedere e degli altri sensi cui si fa più attenzione. Stavolta però l’obiettivo era diverso: l’esercizio voleva che io mi affidassi completamente e mi deresponsabilizzassi, due cose che per carattere non mi riescono troppo bene…

Eppure ci sono riuscita. E una volta raggiunto l’obiettivo, in meno tempo di quel che avrei immaginato, ho potuto giocare a sintonizzarmi sugli altri sensi, scoprendo che il freddo e l’umido sulla pelle, (qualcosa che coinvolge il tatto, direi), sono ottimi fattori per capire dove ci si trova, e che ci sono infiniti rumori, oltre le voci e i clacson che comunemente si sentono quando si cammina per strada. Gli odori purtroppo si sentono meno, ché Roma ha una fitta coltre di puzza omogenea…

Alla fine abbiamo giocato un po’, a toccare ogni cosa per carpirne il segreto (frutta e verdura su una bancarella, e uno strano pallone alto quanto me, ché ancora non ho capito cosa fosse, ma forse è meglio non saperlo…), a odorare dentro un ristorante, ad ascoltare gruppi di persone che ciarlavano e spostavano oggetti pesanti… Abbiamo anche fatto una corsa contro il vento (lungo una strada vuota, eh!). Inutile dire che io, ovviamente, ero sempre abbarbicata alla mano del mio amico, che ne ha riportato i segni fino al rientro nella sua città di origine …

Da tutto ciò ne ho dedotto che sono capace di affidarmi e sollevarmi dalla responsabilità per almeno mezzora, cosa che mi dà speranza per un futuro più riposante. Il tango, invece, devo ancora imparare a ballarlo 😉

Il paese nascosto

Se un giorno non hai niente da fare, o se decidi di staccare dalla solita routine, dal lavoro, dagli impegni, dal computer… allora vai a Garbatella vecchia, la Garbatella dei Lotti stile città giardino (eh, se non sei di Roma, devi prima prendere un treno o un aereo, l’auto o la moto. O partecipare a una tua personale Critical Mass in bici o a una marcia della pace kilometrica).

La Garbatella dei Lotti stile città giardino ti si apre davanti all’improvviso (per esempio passando sotto l’arco di Piazza Brin, o sotto l’arco di Via Passino) come un piccolo paese incastonato in mezzo alla città. Quello che troverai sono tanti minuscoli villini a uno, due o tre piani (ogni piano un piccolo appartamento, eh, ché sempre case popolari sono, con tutta la faticosa storia dei loro abitanti), con una striscia di giardino intorno e delle porte che sembrano fatte su misura per gli Hobbit.

Il modo migliore per godersi questa parte di Garbatella vecchia è passeggiare senza meta, decidendo quale strada imboccare di volta in volta, in totale serendipity, fino al punto da perderti e perdere il senso dell’orientamento.

Non ti preoccupare, prima o poi ritornerai su una strada principale, e ti sembrerà di aver fatto un viaggio in un altro mondo, ammesso che tu non abbia gli occhi bendati… ma questa, è un’altra storia 🙂