Pro-fessionisti

Ieri sono andata al mio primo colloquio di lavoro. Ebbene si, alla tenera età di 38 anni, ancora non avevo mai fatto un vero colloquio di lavoro. Uno di quelli in cui rispondi a un annuncio, mandi il curriculum, poi vieni chiamato per il primo colloquio, e poi, forse, se passi la selezione, per il secondo. Ebbene si, mai fatto. Finora, da freelance e da imprenditrice (solo perché ho aperto, e poi chiuso, una società, eh), avevo sempre creato progetti poi diventati lavori o trovato lavori, nel solo unico modo che ho sempre praticato: facendo networking. O, detto più semplicemente, anche se in modo meno trendy, ho sempre trovato lavoro tramite contatti, miei e dei miei amici.

Oltre a essere il mio primo colloquio, è stata inoltre un’interessante esperienza con una realtà che, per scelta, ho sempre vissuto solo da fuori, o sulla soglia: la grande azienda. E questo, ovviamente, è venuto fuori anche durante la chiacchierata che ho fatto con le due donne della grande società. Seduta a una scrivania di una stanza asettica ma dai colori vivaci e caldi, ho risposto a domande sul mio corso all’università, sui siti di cui ho progettato l’architettura delle informazioni, sul rapporto tra il mio lato creativo e la necessità di limitarlo affinché non prevarichi le esigenze degli utenti (mi è venuto in mente un seminario che tenne anni fa un mio amico, esperto di accessibilità: creatività vs accessibilità… discussione affine e ancora attualissima che meriterebbe un post a sé).

Una delle due donne, elaborando la mia storia professionale e il mio modo di vivere il lavoro, mi ha detto: “ci sono persone più ‘pro azienda’ e persone più ‘pro consulenza’. Lei cos’è?”.
Io sono pro utente, pro qualità, pro energie impiegate bene. L’utente, e non il cliente, anche se con il cliente poi bisogna mediare (mediare tra le sue esigenze, i bisogni degli utenti finali e magari un po’ di innovazione…).
E non mi sposo facilmente. Per cui la ‘mission’ aziendale la posso sposare solo se è da me condivisibile, e non a priori. Chè poi sono i matrimoni che funzionano meglio, quelli in cui ci si fida, si progetta, si costruisce insieme.

E no, non mi piace venire in sede tutti i giorni, se non serve ma anzi rallenta il mio lavoro (c’è stata un’interessante discussione sulla delocalizzazione a partire da un post di biccio). Riconosco, anzi, privilegio il lavoro di gruppo, per cui andare in sede significa collaborare con gli altri, anche se a volte ho bisogno di stare da sola a ragionare e inventare. Per il resto, spesso è tempo perso, tra spostamenti, chiacchiere, distrazioni…

Sono pro consulenza? Forse, finché le aziende non proveranno ad aprirsi a modalità di fiducia, rispetto e qualità del lavoro. In parte già lo stanno facendo, forse, ma la strada è ancora lunga.
Queste le mie riflessioni pre, durante e post il mio primo colloquio di lavoro.
Ora mi chiedo se questi miei pensieri, emersi chiaramente durante il colloquio, peseranno in qualche modo. O forse lo farà questo post, se qualcuno della grande azienda finisse per leggerlo.
Non è detto poi che debba per forza influire negativamente, no? Un po’ di fiducia, sono al primo colloquio con una grande azienda, e le premesse non sembravano malvagie…

In ogni caso, la verità è che io sono disposta a cambiare vita, ma penso che forse non riuscirei a cambiare alcune cose in cui credo 😉

foto valentina cinelli

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