Imparando il tango

Il tango, si sa, è un ballo passionale che prevede una certa intimità tra i corpi, ma soprattutto prevede che la donna si faccia condurre dall’uomo in tutto e per (quasi) tutto, e dunque che l’uomo si assuma la responsabilità di ogni passo.

Da questo punto di vista il tango diventa, per me e per molte persone di mia conoscenza, una vera e propria scuola di vita: se sei donna, devi imparare a fidarti dell’uomo (ahi ahi, e ce ne vuole!!!); se sei uomo, devi imparare ad assumerti tante responsabilità, ma tante davvero (e non vi viene facile, o uomini, non negatelo…).

Io ho cominciato qualche giorno fa, su una strada poco trafficata di Garbatella, quando, nell’indecisione se girare a destra o a sinistra, il mio amico, abile tanguero, mi ha detto: vieni, ti insegno il passo base del tango.
Ed è così che, tra una pausa e l’altra dovuta al passaggio di qualche incurante automobile, ho ballato (uhm, non sono sicura si possa davvero dire così!) il mio primo tango.

Un po’ irrigidita, leggermente confusa e visibilimente affaticata, è stato subito evidente che la mia difficoltà era affidarmi e lasciarmi guidare da lui. Con assoluta pazienza e non poco ingegno, qualità degne solo di un buon maestro, il mio amico ha tirato fuori dal cilindro un esercizio che sembrava fatto su misura per il mio tipo di problema:

mi ha bendato gli occhi, mi ha preso per mano e ha cominciato a camminare. In questo modo mi ha guidato tra marciapiedi affollati, schivando avventori nervosi per l’ultima corsa agli acquisti natalizi; mi ha guidato su impervie strisce pedonali, sfidando il passaggio di automobili stremate da ore di traffico cittadino; mi ha guidato tra gradini, buche di varie entità e cacche di cani dai padroni incivili.
Se Roma sotto Natale si trasforma in una vera e propria città infernale, allora il mio amico si è trasformato in un vero e proprio Virgilio (con ciò non voglio assolutamente sottointendere che io sia Dante, eh!)

Da piccola, con la curiosità che spinge i bambini a conoscere per capire, avevo provato a bendarmi, per scoprire come funzionava quella cosa lì di non vedere e degli altri sensi cui si fa più attenzione. Stavolta però l’obiettivo era diverso: l’esercizio voleva che io mi affidassi completamente e mi deresponsabilizzassi, due cose che per carattere non mi riescono troppo bene…

Eppure ci sono riuscita. E una volta raggiunto l’obiettivo, in meno tempo di quel che avrei immaginato, ho potuto giocare a sintonizzarmi sugli altri sensi, scoprendo che il freddo e l’umido sulla pelle, (qualcosa che coinvolge il tatto, direi), sono ottimi fattori per capire dove ci si trova, e che ci sono infiniti rumori, oltre le voci e i clacson che comunemente si sentono quando si cammina per strada. Gli odori purtroppo si sentono meno, ché Roma ha una fitta coltre di puzza omogenea…

Alla fine abbiamo giocato un po’, a toccare ogni cosa per carpirne il segreto (frutta e verdura su una bancarella, e uno strano pallone alto quanto me, ché ancora non ho capito cosa fosse, ma forse è meglio non saperlo…), a odorare dentro un ristorante, ad ascoltare gruppi di persone che ciarlavano e spostavano oggetti pesanti… Abbiamo anche fatto una corsa contro il vento (lungo una strada vuota, eh!). Inutile dire che io, ovviamente, ero sempre abbarbicata alla mano del mio amico, che ne ha riportato i segni fino al rientro nella sua città di origine …

Da tutto ciò ne ho dedotto che sono capace di affidarmi e sollevarmi dalla responsabilità per almeno mezzora, cosa che mi dà speranza per un futuro più riposante. Il tango, invece, devo ancora imparare a ballarlo 😉

2 pensieri riguardo “Imparando il tango”

  1. Ma non creder però che l’universo
    Sia pieno affatto. In ogni cosa il vôto
    Misto è co’ corpi. E questo in molte cose
    D’util ti fia; acciò tu meglio intenda
    Tutto ciò ch’io ragiono, e senza errore
    E senza dubbio interamente creda
    Alle parole mie fide e veraci.

    Spazio è dunque nel mondo intatto e vôto
    E privo d’ogni corpo, e luogo ha nome
    Poichè, se ciò non fosse, eternamente
    Starian ferme le cose, essendo offizio
    Di tutti i corpi l’impedire il moto:
    Muoversi dunque mai nulla potrebbe,
    Ove nulla cedesse e desse luogo.

  2. argh, qui mi si sfodera un Lucrezio De Rerum Natura… tra teorie atomistiche (eh, quantità e qualità…) ed epicureismi… e cosa posso rispondere?
    Nulla, non rispondo nulla. Lascio spazio al silenzio, che’, se non esistesse ‘vuoto’ di parole, le emozioni anche non potrebbero ‘muoversi’ 😉

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